Nicoletta Purpura è dal maggio del 2015 la nuova direttrice dell’Istituto Pedro Arrupe di Palermo, centro di formazione dei gesuiti molto noto, non solo in città, soprattutto negli anni della “Primavera palermitana”, quelli segnati dalla direzione di padre Bartolomeo Sorge. Fucina di tanti giovani raccolti per prepararli all’impegno politico, oggi rivolge i propri interessi alla formazione e all’impegno sociale.
Nicoletta Purpura, rompendo una tradizione consolidata fin dalla Fondazione dell’istituto nel 1958, è la prima laica, donna, chiamata a dirigere il prestigioso istituto, avendo ricevuto il testimone da padre Gianfranco Matarazzo, divenuto nell’occasione Provinciale dei Gesuiti d’Italia.
Laureata in lingue e letterature moderne proviene dal campo della formazione, della consulenza e della progettazione, avendo svolto molti anni di attività al Collegio Universitario Arces che opera a Palermo dal 1976 e diverse attività di consulenza per l’Assessorato regionale alla Formazione della Regione siciliana con il Formez.
È tra i fondatori nel 2003 del Centro Astalli di Palermo, presso l’Istituto Gonzaga, un’associazione di volontariato, che fa parte della rete territoriale del Jesuit Refugee Service in Italia, che si occupa della difesa dei diritti, dell’integrazione e dell’inclusione degli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo e dal 2007 opera anche e prevalentemente in Piazza Santissimi 40 Martiri a Ballarò.
Nicoletta Purpura ha una solida formazione cristiana come laica di formazione ignaziana nell’ambito della Compagnia di Gesù. Ad un anno e mezzo dall’assunzione della nuova responsabilità le abbiamo chiesto di far un primo bilancio della sua attività e a lanciare uno sguardo, dal suo punto di osservazione, su Palermo e sui suoi abitanti.
L’appuntamento non è nella storica sede di Via Franz Lehar ma in alcune stanze dell’Istituto Gonzaga di Via Piersanti Mattarella, sede del Centro Educativo Ignaziano, dove il Centro ha trasferito parte delle proprie attività.
La prima spiegazione è proprio per questo cambio di sede. “Prima ancora del mio insediamento – dice subito – si è deciso di unificare in una unica sede, l’Istituto Gonzaga, il centro Astalli e il Centro Arrupe, non tanto per motivi economici, quanto per lavorare con maggiore sinergia nei vari settori di intervento, (educazione, formazione riflessione e azione sociale) e dare una qualità di servizi sempre maggiore, a studenti, famiglie, immigrati con un’attenzione particolare alle situazioni di marginalità del territorio. Attualmente lo spazio è ristretto, ma a conclusione dei lavori in corso, ci trasferiremo (e lo indica dalla finestra) in un unico plesso, la casina Whitaker, in cui noi responsabili dei tre soggetti citati potremo soprattutto lavorare più a contatto”.
E la sede di Via Lehar, chiediamo?
Aveva bisogno di lavori di ammodernamento che sono stati avviati. Ne vorremmo fare un luogo di incontro per famiglie, studenti o giovani NEETS. Sarà ancora una nostra sede operativa importante, nella quale far rivivere, con la stessa passione di sempre per il Bene comune, il confronto e il dibattito della società civile con le istituzioni, far nascere proposte di sviluppo, stimolare e sensibilizzare all’attenzione verso gli ultimi, che papa Francesco e la stessa Compagnia di Gesù indicano come la strada da seguire. Vedremo in avanti.
Ma torniamo al suo incarico. Cosa ha provato quando glielo hanno comunicato?
Francamente mi ha colto alla sprovvista. Pur essendo un’ex alunna delle “Ancelle”, appartenente prima al Movimento Eucaristico Giovanile e poi alla Comunità di Vita Cristiana, pur essendo tra i fondatori del Centro Astalli, non avevo mai valutato questa possibilità, anche perché conoscevo l’Istituto Arrupe come un ente di formazione politica tradizionale, e verso una certa concezione di politica nutrivo, come tanti miei coetanei, una certa ritrosia. Tra l’altro personalmente avevo molti altri fronti aperti: avevo deciso di interrompere il mio lungo rapporto professionale con l’Arces, che durava da 17 anni, avevo in opera un contratto con il Ciapi di Priolo, ero già diventata consulente del Formez per la Regione. E per ultimo, ma non per importanza, mi giunse dal Ministero la comunicazione che il concorso a cattedra che avevo superato ben 14 anni prima mi consentiva di entrare di ruolo nella Scuola statale per insegnare Lingua e Letteratura Tedesca in un Liceo (che significava risolvere definitivamente il mio problema professionale e, perché no? anche economico).
E di fronte a tanta grazia di Dio?
La fase di discernimento è durata circa un anno, mia da una parte e dalla Compagnia di Gesù dall’altra. Un percorso di graduale incontro e avvicinamento in cui – come dire – ci siamo conosciuti di più e meglio. In quel periodo ho partecipato a momenti di formazione di spiritualità Ignaziana, rivolta ai laici con responsabilità nelle Opere della Compagnia, al fine di assimilare di più innanzitutto lo spirito ignaziano. Ma sono giunta alla decisione finale, che mi comporta certamente un maggior impegno di tempo e di energie, cercando di cogliere e approfondire quanto il Signore mi ha dato di vivere e comprendere in questi anni, senza trascurare il significato del mio matrimonio e della nascita dei miei due figli. In qualche modo una svolta per la mia vita, non soltanto dal punto di vista professionale ma soprattutto vocazionale, come tentativo di comprendere e rispondere alla chiamata di Dio in questa fase particolare della mia vita personale.
E adesso?
Posso affermare che è stato un cambiamento netto e faticoso, anche per la concomitanza del trasferimento della sede dove ora ci troviamo. Ma soprattutto per la nuova fase di rapporti con Istituto Gonzaga e Astalli che consente di utilizzare al meglio i rapporti che ogni ente ha già, ma che richiede di lavorare molto di più insieme e con comuni finalità. L’ultima e più recente frontiera è l’alternanza “Scuola lavoro” sulla quale siamo particolarmente impegnati, con l’obiettivo di formare alla conoscenza del nostro territorio e sensibilizzare maggiormente all’attenzione verso la marginalità i giovani studenti della scuola, attraverso un’esperienza diretta presso associazioni del Terzo settore in ambito sociale con cui collaboriamo da tempo (associazioni, comunità religiose allo Zen 2, all’Albergheria, a Ciaculli che lavorano per il riscatto della loro zona, ma anche enti come l’Oasi Verde e l’Associazione Famiglie Persone Down, che operano con la disabilità, Addiopizzo, il Centro Astalli ecc).
Ed in una battuta? Va meglio o va peggio?
Sono molto più consapevole e convinta della bontà della scelta. Sono anche convinta che quello che sto facendo è un servizio per la mia città e non solo. Attraverso l’Istituto Arrupe penso di poter dare un contributo allo sviluppo di questa Palermo e in modo particolare ai giovani, quelli che senza un adeguato sostegno sono costretti ad andar via definitivamente.
A chi si rivolge l’Istituto Arrupe?
In prima battuta certamente alle fasce marginali che vivono nei quartieri periferici di Palermo, ma anche ai tanti giovani di altri quartieri come quello in cui opera l’Istituto Gonzaga per far sì che acquisiscano strumenti e consapevolezza delle loro risorse e passione e interesse per il territorio in cui vivono, la Sicilia cioè, tendendo a rimanere e a creare opportunità per loro e per altri. Offrire opportunità per poter restare, anche contro il parere dei loro stessi genitori che sono i primi ad incoraggiarli ad andare via. Questo lavoro non si può portare avanti da soli. Abbiamo incrementato i rapporti con altre associazioni che a vario titolo lavorano sul territorio, innanzitutto per creare rete.
Qual è il vostro giudizio in tal senso sulla situazione palermitana?
Potrei usare due termini forse antitetici: frammentazione e fermento. Da una parte la limitazione di mezzi e di progetti tra gli Enti provoca una sorta di guerra tra i poveri per potersi accaparrare questo o quel finanziamento: la conclusione è che spesso ci si trova ad essere in competizione nei bandi e nel coinvolgimento dell’utenza. Per altro verso c’è tanta voglia di fare e di sostenere un sistema pubblico di welfare che è sempre più in difficoltà nell’assolvimento del suo compito. Per questo bisogna saper cercare innanzitutto la verità delle cose, andare al cuore dei problemi e intervenire ove possibile sulle cause del disagio, uscendo fuori da una logica emergenziale che attanaglia la nostra terra e ne limita fortemente lo sviluppo.
Nicoletta Purpura è dal maggio del 2015 la nuova direttrice dell’Istituto Pedro Arrupe di Palermo, centro di formazione dei gesuiti molto noto, non solo in città, soprattutto negli anni della “Primavera palermitana”, quelli segnati dalla direzione di padre Bartolomeo Sorge. Fucina di tanti giovani raccolti per prepararli all’impegno politico, oggi rivolge i propri interessi alla formazione e all’impegno sociale.
Nicoletta Purpura, rompendo una tradizione consolidata fin dalla Fondazione dell’istituto nel 1958, è la prima laica, donna, chiamata a dirigere il prestigioso istituto, avendo ricevuto il testimone da padre Gianfranco Matarazzo, divenuto nell’occasione Provinciale dei Gesuiti d’Italia.
Laureata in lingue e letterature moderne proviene dal campo della formazione, della consulenza e della progettazione, avendo svolto molti anni di attività al Collegio Universitario Arces che opera a Palermo dal 1976 e diverse attività di consulenza per l’Assessorato regionale alla Formazione della Regione siciliana con il Formez.
È tra i fondatori nel 2003 del Centro Astalli di Palermo, presso l’Istituto Gonzaga, un’associazione di volontariato, che fa parte della rete territoriale del Jesuit Refugee Service in Italia, che si occupa della difesa dei diritti, dell’integrazione e dell’inclusione degli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo e dal 2007 opera anche e prevalentemente in Piazza Santissimi 40 Martiri a Ballarò.
Nicoletta Purpura ha una solida formazione cristiana come laica di formazione ignaziana nell’ambito della Compagnia di Gesù. Ad un anno e mezzo dall’assunzione della nuova responsabilità le abbiamo chiesto di far un primo bilancio della sua attività e a lanciare uno sguardo, dal suo punto di osservazione, su Palermo e sui suoi abitanti.
L’appuntamento non è nella storica sede di Via Franz Lehar ma in alcune stanze dell’Istituto Gonzaga di Via Piersanti Mattarella, sede del Centro Educativo Ignaziano, dove il Centro ha trasferito parte delle proprie attività.
La prima spiegazione è proprio per questo cambio di sede. “Prima ancora del mio insediamento – dice subito – si è deciso di unificare in una unica sede, l’Istituto Gonzaga, il centro Astalli e il Centro Arrupe, non tanto per motivi economici, quanto per lavorare con maggiore sinergia nei vari settori di intervento, (educazione, formazione riflessione e azione sociale) e dare una qualità di servizi sempre maggiore, a studenti, famiglie, immigrati con un’attenzione particolare alle situazioni di marginalità del territorio. Attualmente lo spazio è ristretto, ma a conclusione dei lavori in corso, ci trasferiremo (e lo indica dalla finestra) in un unico plesso, la casina Whitaker, in cui noi responsabili dei tre soggetti citati potremo soprattutto lavorare più a contatto”.
E la sede di Via Lehar, chiediamo?
Aveva bisogno di lavori di ammodernamento che sono stati avviati. Ne vorremmo fare un luogo di incontro per famiglie, studenti o giovani NEETS. Sarà ancora una nostra sede operativa importante, nella quale far rivivere, con la stessa passione di sempre per il Bene comune, il confronto e il dibattito della società civile con le istituzioni, far nascere proposte di sviluppo, stimolare e sensibilizzare all’attenzione verso gli ultimi, che papa Francesco e la stessa Compagnia di Gesù indicano come la strada da seguire. Vedremo in avanti.
Ma torniamo al suo incarico. Cosa ha provato quando glielo hanno comunicato?
Francamente mi ha colto alla sprovvista. Pur essendo un’ex alunna delle “Ancelle”, appartenente prima al Movimento Eucaristico Giovanile e poi alla Comunità di Vita Cristiana, pur essendo tra i fondatori del Centro Astalli, non avevo mai valutato questa possibilità, anche perché conoscevo l’Istituto Arrupe come un ente di formazione politica tradizionale, e verso una certa concezione di politica nutrivo, come tanti miei coetanei, una certa ritrosia. Tra l’altro personalmente avevo molti altri fronti aperti: avevo deciso di interrompere il mio lungo rapporto professionale con l’Arces, che durava da 17 anni, avevo in opera un contratto con il Ciapi di Priolo, ero già diventata consulente del Formez per la Regione. E per ultimo, ma non per importanza, mi giunse dal Ministero la comunicazione che il concorso a cattedra che avevo superato ben 14 anni prima mi consentiva di entrare di ruolo nella Scuola statale per insegnare Lingua e Letteratura Tedesca in un Liceo (che significava risolvere definitivamente il mio problema professionale e, perché no? anche economico).
E di fronte a tanta grazia di Dio?
La fase di discernimento è durata circa un anno, mia da una parte e dalla Compagnia di Gesù dall’altra. Un percorso di graduale incontro e avvicinamento in cui – come dire – ci siamo conosciuti di più e meglio. In quel periodo ho partecipato a momenti di formazione di spiritualità Ignaziana, rivolta ai laici con responsabilità nelle Opere della Compagnia, al fine di assimilare di più innanzitutto lo spirito ignaziano. Ma sono giunta alla decisione finale, che mi comporta certamente un maggior impegno di tempo e di energie, cercando di cogliere e approfondire quanto il Signore mi ha dato di vivere e comprendere in questi anni, senza trascurare il significato del mio matrimonio e della nascita dei miei due figli. In qualche modo una svolta per la mia vita, non soltanto dal punto di vista professionale ma soprattutto vocazionale, come tentativo di comprendere e rispondere alla chiamata di Dio in questa fase particolare della mia vita personale.
E adesso?
Posso affermare che è stato un cambiamento netto e faticoso, anche per la concomitanza del trasferimento della sede dove ora ci troviamo. Ma soprattutto per la nuova fase di rapporti con Istituto Gonzaga e Astalli che consente di utilizzare al meglio i rapporti che ogni ente ha già, ma che richiede di lavorare molto di più insieme e con comuni finalità. L’ultima e più recente frontiera è l’alternanza “Scuola lavoro” sulla quale siamo particolarmente impegnati, con l’obiettivo di formare alla conoscenza del nostro territorio e sensibilizzare maggiormente all’attenzione verso la marginalità i giovani studenti della scuola, attraverso un’esperienza diretta presso associazioni del Terzo settore in ambito sociale con cui collaboriamo da tempo (associazioni, comunità religiose allo Zen 2, all’Albergheria, a Ciaculli che lavorano per il riscatto della loro zona, ma anche enti come l’Oasi Verde e l’Associazione Famiglie Persone Down, che operano con la disabilità, Addiopizzo, il Centro Astalli ecc).
Ed in una battuta? Va meglio o va peggio?
Sono molto più consapevole e convinta della bontà della scelta. Sono anche convinta che quello che sto facendo è un servizio per la mia città e non solo. Attraverso l’Istituto Arrupe penso di poter dare un contributo allo sviluppo di questa Palermo e in modo particolare ai giovani, quelli che senza un adeguato sostegno sono costretti ad andar via definitivamente.
A chi si rivolge l’Istituto Arrupe?
In prima battuta certamente alle fasce marginali che vivono nei quartieri periferici di Palermo, ma anche ai tanti giovani di altri quartieri come quello in cui opera l’Istituto Gonzaga per far sì che acquisiscano strumenti e consapevolezza delle loro risorse e passione e interesse per il territorio in cui vivono, la Sicilia cioè, tendendo a rimanere e a creare opportunità per loro e per altri. Offrire opportunità per poter restare, anche contro il parere dei loro stessi genitori che sono i primi ad incoraggiarli ad andare via. Questo lavoro non si può portare avanti da soli. Abbiamo incrementato i rapporti con altre associazioni che a vario titolo lavorano sul territorio, innanzitutto per creare rete.
Qual è il vostro giudizio in tal senso sulla situazione palermitana?
Potrei usare due termini forse antitetici: frammentazione e fermento. Da una parte la limitazione di mezzi e di progetti tra gli Enti provoca una sorta di guerra tra i poveri per potersi accaparrare questo o quel finanziamento: la conclusione è che spesso ci si trova ad essere in competizione nei bandi e nel coinvolgimento dell’utenza. Per altro verso c’è tanta voglia di fare e di sostenere un sistema pubblico di welfare che è sempre più in difficoltà nell’assolvimento del suo compito. Per questo bisogna saper cercare innanzitutto la verità delle cose, andare al cuore dei problemi e intervenire ove possibile sulle cause del disagio, uscendo fuori da una logica emergenziale che attanaglia la nostra terra e ne limita fortemente lo sviluppo.
L’Istituto Arrupe ha certamente una identità e una matrice cattolica. Come gioca questo fattore nell’attività che svolge e in quello che intende portare avanti?
L’Arrupe ha certamente una ispirazione cattolica, anche se portato avanti da laici; cioè non vi sono più, al momento, padri Gesuiti che vi lavorano a tempo pieno o direttamente, ma è ovvio che collaborano con noi, man mano che se ne presentano le opportunità. L’ispirazione cattolica significa per me dialogare con tutti, così come Gesù, che è il nostro modello di riferimento, ci ha insegnato; tuttavia selezioniamo i collaboratori con spirito laico, in base alle competenze e alle attitudini, cercando in loro, più che una formazione religiosa, il desiderio di impegnarsi concretamente in un servizio per la propria città e la passione per il bene comune che contraddistingue da sempre le nostre azioni. Ci interessa lavorare con uno stile che miri a cercare la verità delle cose, anche la nostra ricerca non si configura come ricerca accademica, anche se ha un approccio molto rigoroso, ma come una forma di intervento concreto e di cambiamento nel territorio e nelle persone.
E in particolare voi cosa fate?
La nostra ricerca mira innanzitutto a individuare i bisogni del territorio e a rispondere loro attraverso la riflessione e l’azione. La ricerca che noi portiamo avanti dagli anni ’90 attraverso il Programma di ricerca “Idea - Azione” sostiene progetti nell’ambito delle scienze sociali e umane e quest’anno ha avuto un focus specifico: “Urban leaders. Governare le città: capire il futuro, partire dai margini”. Il Programma è promosso dal nostro Istituto e finanziato dalla Tokyo Foundation attraverso il Ryoichi Sasakawa Young Leaders Fellowship Fund (Sylff) che supporta la formazione di una generazione di ricercatori ad elevato potenziale di leadership, interessati a una reale trasformazione della società (www.sylff.org). I giovani ricercatori vengono selezionati non solamente in base ai titoli accademici ma anche alle esperienze personali e professionali (per esempio: impegno civile, partecipazione politica, appartenenza ad associazioni, esperienze di volontariato, ecc.). Per l’anno accademico 2015-16 abbiamo deciso di lavorare non solo sul settore immigrazione, su cui siamo impegnati da più di due anni, ma abbiamo allargato la nostra azione anche sulle aree marginali (Zen, Ciaculli, Albergheria), sulla questione abitativa e sulla situazione di disoccupazione cronica che affligge NEETS e adulti over 50.
E sull’immigrazione?
Da più di tre anni abbiamo creato l’Osservatorio Migrazioni, con l’obiettivo di creare una struttura di studio e di ricerca che si occupi di analizzare e monitorare il fenomeno della migrazione nel territorio regionale, favorire il cambiamento culturale circa la percezione dei fenomeni migratori e delle persone immigrate, esercitare un’azione di advocacy verso le istituzioni e contribuire ad approfondire il dibattito politico in materia. In questo operiamo in stretta collaborazione con il JRS, la rete dei Gesuiti per i Rifugiati, rappresentata appunto qui dal Centro Astalli. I nostri ricercatori, accademici ed esperti di grande professionalità, operano a titolo volontario, condividendo i nostri obiettivi. Anche i giovani ricercatori coinvolti attraverso le borse di ricerca SYLFF partecipano attivamente alle attività. Desideriamo far lavorare i nostri giovani in modo concreto sulle realtà e sulle strutture che esistono cercando di stimolare la loro creatività per generare idee di sviluppo e promozione del territorio. Ma poi bisogna pensare anche ad altri.
E cioè a chi?
In particolare ai NEET, cioè ai giovani che pur dotati di titolo di studio talvolta anche elevato non riescono ad entrare nel mondo del lavoro e non vogliono andare via. Per molti che vivono in contesti difficili l’approdo è la criminalità organizzata. Poi c’è il serissimo problema dei disoccupati over 50, realtà in aumento, che in Sicilia può essere sintetizzata e espressa dalla migliaia di lavoratori espulsi dalla formazione professionale e divenuti disoccupati anche ad oltre 50 anni. Ulteriori settori di studio e intervento: la questione abitativa, problema particolarmente grande e grave a Palermo e le aree marginali, con le loro molteplici complessità che spesso racchiudono tutte le precedenti.
Come vede il rapporto tra amministrazione locale e attività culturali in città?
Palermo è ancora una città molto vivace culturalmente, anche se in passato lo era certamente di più. Come sul versante del welfare, nel settore culturale c’è grande fermento ma la mancanza di risorse e, probabilmente, di una visione strategica comune alla quale contribuire tutti, ne limita lo sviluppo. La nostra città per la sua storia, per il suo patrimonio culturale e la presenza di una grande vivacità intellettuale potrebbe attirare risorse e interessi da fuori e riconquistarsi quel ruolo centrale nel Mediterraneo che tante volte abbiamo rivendicato. Dobbiamo però imparare a superare i nostri limiti, che non sono pochi, ed uno di questi è proprio il rapporto tra l’Amministrazione locale, povera di risorse ma ricca di buone intenzioni, ed il tessuto socio-culturale che richiede risorse per sopravvivere e spesso non è in grado di trovarne altrove.
In che modo l’Amministrazione locale potrebbe intervenire?
Creando e gestendo le regole per un lavoro di rete che garantisca a tutti di portare avanti le proprie finalità dentro un disegno più ampio. Questo è ciò che forse manca: un piano di lavoro, magari poliennale, condiviso e verificato in itinere dopo aver individuato insieme alcuni obiettivi primari. Quando poi ciò raramente avviene, magari dopo anni di incontri e confronti, cambia l’amministrazione e bisogna ricominciare.
Come giudica l’attività della Consulta delle culture del Comune di Palermo?
Molto positivamente. Abbiamo sempre collaborato con la Consulta ogni volta che ce ne è stata l’opportunità e vogliamo continuare su questa linea con la nuova Presidenza che adesso è stata affidata ad una donna di Capoverde molto nota in città. Spesso manca la capacità di incidere su alcuni problemi concreti che vivono le comunità di stranieri; tuttavia ciò non dipende dall’organismo ma della complessità dei singoli problemi e dalla pluralità dei soggetti che devono essere coinvolti. La Consulta ha dato loro voce ed un’organizzazione, ma ancora tanto rimane da fare sul piano dei diritti dei migranti che vivono e lavorano a Palermo.
E in sintesi come intendete muovervi attraverso l’intervento in questi settori?
L’idea è che l’Istituto Gonzaga diventi anche un polo culturale aperto ed al servizio della città, di educazione, formazione, ricerca e sensibilizzazione sulle tematiche di interesse delle organizzazioni che vi risiedono (Arrupe, Astalli e Gonzaga), coinvolgendo i ragazzi e le famiglie che la frequentano. Coinvolgendoli in tutto fino al livello più alto, quello politico, correttamente inteso, superando in tal senso anche la struttura tipica e tradizionale dei corsi tenuti dal Centro Arrupe 20 o 30 anni fa che sono una modalità ancora attuale e valida di formazione politica, ma ai quali abbiamo affiancato i laboratori di cittadinanza attiva e varie metodologie anche non formali ed informali.