Da poco si è conclusa a Palermo la mostra "Migranti. La sfida dell'incontro" e dentro le aule scolastiche è continuata la riflessione, i ragazzi si sono confrontati con i loro docenti. Questo sicuramente era nelle intenzioni degli organizzatori e credo si possa considerare un obiettivo raggiunto.
La nostra scuola sicuramente è un laboratorio di integrazione, nelle scuole italiane gli studenti stranieri sono 814.000, i numeri sono sempre in aumento e cresce la seconda generazione, ragazzi nati e cresciuti nel nostro paese avvantaggiati dal punto di vista linguistico e quindi nell'apprendimento. I migranti sono davvero i nostri vicini di casa perché sono i compagni di banco dei nostri figli, sono i nostri alunni. Nelle nostre classi sono presenti studenti di 190 nazionalità e, a differenza di altri paesi, in Italia è stata privilegiata la pratica dell'inclusione, i ragazzi sono accolti nelle classi in modo corrispondente alla loro età, senza fare ricorso a luoghi di apprendimento linguistico separati. Nella nostra scuola si è affermato il modello interculturale che valorizza i contributi provenienti dalle diverse identità. Grazie al lavoro di dirigenti e insegnanti e alle realtà sociali presenti nel territorio si sta affermando sempre più un modello educativo per il quale la molteplicità delle culture non è percepita come un ostacolo ma un'occasione per andare più a fondo del compito educativo.
Le mostre o altre iniziative volte all'approfondimento delle conoscenze sono strumenti utili da utilizzare all'interno delle attività didattiche. E da quanto si è dibattuto in questi giorni nelle scuole abbiamo voluto raccogliere qualche voce.
Cosa sanno i ragazzi del fenomeno migratorio e cosa ne pensano?
Che importanza può avere una iniziativa come questa mostra rivolta ai giovani studenti? E cosa può fare la scuola per superare i pregiudizi e favorire l'incontro?
Rita Martorana Tusa docente dell'ITET Marco Polo: "È una constatazione ovvia e banale che i ragazzi sanno molto poco. Le loro informazioni sono basate su ciò che viene trasmesso dai media e che fa notizia. Anche se condividono il banco con un compagno straniero difficilmente si fanno domande sul percorso che ha fatto quel ragazzo per arrivare lì.
Pochissimi, ad esempio, sanno indicare la differenza tra migrante e profugo.
È vero d'altro canto che comunque il loro sguardo verso gli extracomunitari che incontrano a scuola è uno sguardo libero e privo di pregiudizi, per loro sono semplicemente compagni come tutti gli altri, mentre nei confronti di altre categorie come posteggiatori e lavavetri condividono il giudizio negativo comune ai più.
Nei confronti del fenomeno in generale sono disponibili a una accoglienza, però molti affermano anche che non si possono accogliere tutti e che bisogna innanzitutto dare lavoro agli italiani e poi agli stranieri. Durante la visita della mostra nel dialogo con i ragazzi è emerso ad esempio il giudizio che dice: 'lo stato non riesce a risolvere i problemi dei nostri poveri e non è giusto che debba spendere tanti soldi per mantenere i migranti nei centri di accoglienza'.
Nel percorso della mostra, però, lo sguardo di tanti cambia e alla fine è commosso e lieto. Innanzitutto a partire dalla conoscenza reale dei dati e dei numeri e poi nella crescente consapevolezza che chi arriva sulle nostre coste fugge da situazioni insostenibili di guerra, miseria e persecuzione, che lo spingono a cercare altrove la possibilità di una vita migliore.
Infine la scoperta dei volti di chi è arrivato da noi. Volti lieti perché sono i volti di chi è stato accolto innanzitutto in quanto uomo.
A scuola probabilmente guarderanno in modo diverso e nuovo i loro stessi compagni.
Sempre la scuola dovrebbe favorire le occasioni di incontro con chi realmente vive l'esperienza dell'accoglienza perché solo incontrando dei testimoni il giudizio sul reale cambia".
Chiediamo agli studenti cosa li abbia colpiti della mostra e se il percorso li abbia aiutati a comprendere di più della questione migranti.
Silvia ITET Marco Polo: "Quello che più mi ha colpito è stato vedere quante volte noi italiani siamo stati migranti, quante volte ci siamo ritrovati nelle loro situazioni, a dover mettere alla prova noi stessi per sfidare nuovi cieli. Mi ha colpito lo stupore di tutti quando leggevamo quelle righe che descrivevano gli italiani appena giunti in America, per non parlare della stretta al cuore quando abbiamo letto una frase con cui ai tempi indicavano noi. È stato molto frustrante immedesimarsi in loro per qualche minuto.
Quando siamo usciti dalla mostra mi sono sentita ricca, con tanta speranza che il giudizio sui migranti potesse cambiare per tutti. Soprattutto spero di non sentire più dire: "quel marocchino, quel nero...", come se non avessero un nome. Io ho sempre avuto un giudizio positivo su di loro, ho sempre pensato che fossero un tesoro per il nostro paese, per poter imparare a relazionarci con gente nuova e con culture diverse.
Penso che nelle scuole se ne dovrebbe parlare, per aiutare di più gli alunni stranieri. Non sopporto che una persona venga considerata pericolosa solo perché uno di loro ha sbagliato, come se tutti noi italiani fossimo bravissime persone. Il colore della pelle non può essere sinonimo di 'inferiorità', i migranti sono uomini come noi, con varie capacità, aspirazioni e desideri".
È proprio vero che i migranti rappresentano "una presenza che sfida ciascuno di noi ad andare al fondo della propria identità personale e collettiva" come si leggeva su uno dei pannelli della mostra. La scuola può aiutare in questo incontro con il diverso attraverso la partecipazione a iniziative che possono essere occasioni di conoscenza e riflessione.