Gianrico Carofiglio, Con parole precise. Breviario di scrittura civile, Laterza, 2015
Diceva Galileo Galilei: «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro, pochissimi», e così si schermiva Pascal: «Scusami se ti ho scritto una lettera lunga, ma non ho avuto il tempo». Queste due citazioni sono utili per introdurre la segnalazione dell’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, Con parole precise. Breviario di scrittura civile, edito da Laterza.
Conosciamo Carofiglio come uno dei più affermati romanzieri e per i suoi gialli con protagonista l’avvocato Guerrieri, ma l’autore barese, in passato magistrato e parlamentare, si è già cimentato in saggi sulla scrittura: L’arte del dubbio (Sellerio, 2007), La manomissione delle parole (Rizzoli, 2010). In particolare ne La manomissione delle parole Carofiglio, dopo avere avvertito sul pericolo derivante da un uso improprio e strumentale del linguaggio – pericolo per la convivenza civile e per la democrazia –, proponeva il recupero di talune parole espressioni di una civiltà da difendere: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta.
Con quest’ultimo saggio Carofiglio torna sul tema e, ancora una volta, lo lega alla politica, intesa nel suo significato puro, e all’educazione civica.
Con parole precise è distinto in due parti: nella prima si analizzano questioni di portata generale, quali l’efficacia delle parole, il potere delle metafore, il valore delle parole nella democrazia, l’importanza del linguaggio semplice e chiaro; nella seconda si propone una sorta di manuale, ricco di esempi pratici, di scrittura civile.
Sia la prima che la seconda parte, strettamente connesse e funzionali l’una all’altra, si rivelano stimolanti.
Nella prima parte risultano particolarmente interessanti – anche per i diversi e sempre appropriati richiami a studiosi e a letterati – le osservazioni sull’uso delle parole nella vita civile (che si esige chiaro e preciso) e nella letteratura (diverso nella lirica, dove prevale la vaghezza e l’emotività, e nella prosa, specie poliziesca, che richiede esattezza e capacità descrittiva). Così come acute e calzanti sono le annotazioni sulle metafore, di cui si denuncia il proliferare nel linguaggio della politica: fenomeno che segnala il prevalere di una comunicazione, non di rado ingannatrice, finalizzata a suscitare consensi dettati da spinte emotive a discapito della veridicità delle affermazioni (tra le metafore più abusate Carofiglio esamina quella berlusconiana della “discesa in campo” e quella renziana della “rottamazione”, entrambe sintomatiche di un decadimento del dibattito pubblico).
La seconda parte del saggio, come si è detto, ha un contenuto più pratico, con indicazioni sulla scrittura civile, di come cioè non si deve scrivere per evitare confusioni e ambiguità nelle comunicazioni dirette ai cittadini o che rivestono comunque rilevanza pubblica, e di come invece occorre scrivere per raggiungere in modo immediato e intellegibile i destinatari. Gli esempi prendono di mira la scrittura nella pubblica amministrazione e nelle aziende, e la scrittura giuridica che Carofiglio, per il suo passato di giudice, conosce assai bene; scritture nelle quali emergono tutt’oggi la ridondanza, la nebulosità, l’astrattezza, la bruttezza. E Carofiglio, nell’evidenziarne le storture, suggerisce pochi e semplici correttivi: periodi brevi, frasi precise e mai vaghe, sintassi ragionata e logica. Il tutto non tanto per ragioni estetiche – anch’esse importanti –, ma affinché il linguaggio sia uno strumento di comunicazione efficace e non soggetto a manipolazioni.
Il saggio di Carofiglio andrebbe letto da chi opera nelle pubbliche amministrazioni, nelle aziende, nelle aule di giustizia, ma anche dagli studenti da educare a una scrittura consapevole del potere delle parole; potere null’affatto indifferente – nel bene e nel male – per la vitalità delle relazioni, e di quelle, in particolare, con gli organi decisori.