(12 febbraio 2015) – Nei giorni del primo presidente della Repubblica siciliano, nei giorni del Biagio Day, nei giorni in cui sempre più nel dibattito pubblico hanno spazio patti che si spezzano e parole che non si mantengono, c’è da raccontare una storia semplice che ha coinvolto tanta gente. Quella di Salvatore Vaccarello: un uomo nato ormai più di ottant’anni fa, vissuto per larga parte della sua vita a Palermo e morto lo scorso mese.
La storia è semplice perché è quella del titolare di un negozietto dal nome francese, “La lumière”, in via Marchese di Villabianca a Palermo, mandato avanti con la forza di chi riconosce tra quelle pareti il proprio luogo specifico, che si spegne ad un’età matura nella sua casa una notte d’inverno, lo scorso 17 gennaio.
Ed è chiaro che una storia del genere non trovi largo spazio nel caos quotidiano. Magari qualcuno lo ricorderà, come il negozio di articoli sportivi dove si trovavano facilmente le scarpe da punta di danza classica. Ma il funerale di quell’uomo del negozietto era pieno di gente che non faceva danza classica. Al cimitero di “Santa Maria dei Rotoli” di Palermo hanno dato il proprio saluto grato e commosso tutti quelli che lo avevano visto in azione. Il sacerdote salesiano che ha concelebrato in quell’occasione, fraterno amico di Vaccarello da antica data, disse per ricordarlo: “Si è fatto povero con i poveri e si è dato tutto a tutti”.
Quel negoziante di articoli sportivi non era solo un commerciante, anzi se si interpella la gente del suo quartiere, si capisce subito che la sua prima attività non era quella. Il negozio era come la base operativa conosciuta da tutti e a cui tutti potevano portare il proprio contributo, vista l’affidabilità del gestore.
Il suo traffico principale era l’amore per gli ultimi. Non è un caso che un ultimo, Alì, si è accorto per primo della morte dell’uomo. E il suo traffico non era clandestino: tutti portavano quello che avevano in più al suo negozio o a casa sua. Tutti conoscevano le sue raccolte di cibo, di vestiti, di strumenti sanitari e ogni tipo di utensile che possa essere d’aiuto nei Paesi di Missione.
E tutti conoscevano la benzina che alimentava quell’operosità: lui ha fatto parte – nella seconda parte della sua vita – del Movimento “Oasi”, fondato negli anni ’50 da Padre Virginio Rotondi, ma il suo punto di svolta in giovane età, come racconta chi lo ha conosciuto bene, è stato l’incontro con Padre Pio. Tutti conoscevano la sua devozione alla Madonna e i suoi digiuni. Un uomo dalla fede viva, che non a caso aveva scelto per il suo negozio quel nome francese che rimandava alla Luce. È stato un salesiano senza etichetta, ha speso tante energia fra i ragazzi della Kalsa ed è stato un punto di riferimento nella sua parrocchia di S. Luigi.
Si racconta che alla fine degli anni Ottanta, in contemporanea con il crollo del muro di Berlino, conoscendo la situazione difficile di un paese come l’Albania (in quel tempo Enver Hoxha governava con pugno di ferro la Repubblica Popolare Socialista d’Albania), Salvatore Vaccarello si fece promotore di una spedizione umanitaria di gabinetti medici che stavano per essere dismessi per rinnovamento in Sicilia. O, ancora, all’inizio degli anni ’80 riuscì a coinvolgere un gran numero di persone per inviare un consistente aiuto ai terremotati dell’Irpinia. Ma a testimonianza del suo impegno si potrebbero documentare spedizioni per la Jugoslavia, il Congo Belga, la capitale dell’Honduras. E chi è stato negli ultimi istanti nella casa di Vaccarello, ricorda che tra gli scatoli da smistare per i poveri di Palermo e le carte del negozio, si potevano scorgere i ringraziamenti ufficiali in carta intestata dai ministeri di Paesi come quelli appena citati.
E poi è stato coinvolto anche in qualche fase della storia sociale di Palermo. Era stato, infatti, tra coloro che avevano promosso un’attenzione verso i quartieri popolari alla metà degli anni ’70, al fine di una presenza della solidarietà umana e cristiana per i più poveri.
Vaccarello profondeva il suo impegno incessantemente e riusciva a far diventare la causa abbracciata da lui – e dagli amici operativi più stretti – un impegno di molti al quale ciascuno poteva dare il proprio contributo. Al funerale si è riunito proprio quel "popolo" che lo seguiva.
Una semplice storia che segnala la capacità dell’uomo di coinvolgere tutte le persone che aveva intorno in direzione di uno scopo ben più grande di esse. Che segnala la disponibilità di uomini e donne in una città, in cui sempre di più i rapporti tra le persone appaiono incapaci di gesti più lunghi di una distratta elemosina all’angolo della strada, di condividere il cuore di un uomo che si “dà tutto a tutti”.
Quel negozietto rimane una luce, "una lumière", da tenere presente nel buio dei gesti d'ogni giorno. L'ennesima testimonianza che nel cuore dell’uomo è prevista un'attesa d’infinito. Chi si attende meno? O chi si arrende prima?