Un mese fa, esattamente il 14 febbraio è improvvisamente deceduto Salvatore Albanese persona molto nota nel settore dell’accoglienza ai parenti dei malati in tutt’Italia. Salvatore guidava l’Associazione Cilla, dal 1990 da quando il papà di Cilla, Rino Galeazzi, chiese a don Giussani di adoperarsi perché questa opera potesse proseguire dopo di lui. Cilla, nacque, infatti, per volere dei genitori e di alcuni amici, per ricordarne la testimonianza della giovinetta subito dopo la morte avvenuta durante l’adolescenza.
L’Associazione conta oggi un consistente numero di case di accoglienza disseminate in Italia che ospitano e accolgono i parenti dei malati costretti a muoversi lontani dai paesi di origine. Salvatore Albanese era di origini siciliane, più precisamente era nato a Polizzi, anche se aveva lasciato da giovane l’isola e si era trasferito a Padova, dove si era sposato e aveva messo su famiglia.
Abbiamo chiesto ad alcuni amici siciliani un ricordo.
Gaetano Burgio, medico palermitano e responsabile locale dell’Associazione, l’ha conosciuto molti anni fa, in modo del tutto casuale e insieme a lui e a tanti altri ha dato origine all’esperienza di Cilla a Palermo, ove oggi operano due case di accoglienza. Ricorda così l’inizio della loro amicizia. “Incontrai per la prima volta Salvatore più di trent’anni fa. Ricordo che ero un medico alle prime armi, lavoravo all’ospedale Buccheri La Ferla, e insieme ad alcuni amici di Comunione e Liberazione facevamo un’esperienza di volontariato e carità all’Ospedale del Sole, ove in quegli anni era in opera il più grande centro di assistenza e cura per i malati di AIDS. Capimmo subito che non bastava confortare i malati, ma anzi era forse prioritario dare una adeguata assistenza ai loro famigliari che, venendo da tutta la Sicilia, non avevano punti di riferimento per affrontare una situazione così drammatica. Così decidemmo di telefonare all’Associazione che muoveva i primi passi in tutt’Italia”. E quale fu la vostra richiesta? “Molto strana, originale e per questo poi non andò in porto. Volevamo acquistare dei container dismessi e ristrutturarli per adibirli a luogo di prima accoglienza. Salvatore colse subito l’occasione per venire a Palermo, che aveva abbandonato da non molti anni dopo l’università, e mettersi insieme a noi per trovare una soluzione. Ma quell’ipotesi si rivelò inadeguata e così procedemmo a piccoli passi. Ma era nata una grande amicizia, di cui i decenni successivi sono stati splendida testimonianza”.
Angelo Candiano è anch’egli medico ed opera a Catania ove è il responsabile della locale casa di accoglienza Cilla. Anche per l’lui l’incontro con Salvatore è avvenuto tanti anni fa. “Conobbi Salvatore Albanese quasi 30 anni fa. Era venuto a Catania perché due nostri amici, Katia e Ugo, che si erano dovuti recare a Verona per problemi di salute, erano stati accolti in una delle case dell’Associazione ed erano stati colpiti dall’accoglienza avuta in quella circostanza da parte di alcuni amici che facevano parte di Cilla. Per questo, colpiti e commossi dall’esperienza fatta, tornati a Catania, avevano pensato di mettere su anche nella nostra città, una struttura di accoglienza ad imitazione di quella da loro conosciuta a Verona. Nel far questo hanno coinvolto alcuni amici e tra questi anche me”. E poi come andarono le cose? “Salvatore, com’era nel suo stile, fece la prima mossa indicandomi quale responsabile della locale struttura di accoglienza. Non ci eravamo mai visti né sentiti prima; mi sentii spiazzato e fui sgomento, come in preda alla sensazione di camminare sull’orlo di un burrone e di avere le vertigini, ma allo stesso tempo attirato dalla sensazione di fiducia che emanava dalla sua persona. Salvatore promise che mi avrebbe accompagnato lungo il percorso, che mi avrebbe sostenuto e non mi avrebbe abbandonato. E così avvenne. In quella circostanza mi sentii chiamato, e di fronte ad una chiamata si risponde: sì o no. Io risposi di sì e da lì cominciò l’avventura della nostra amicizia”.
Mercedes Lo Verde è palermitana ed anche lei ha conosciuto Salvatore tantissimi anni fa. “Quando incontrai per la prima volta Salvatore, l’Associazione Cilla, non era ancora nata in città. Ci limitavamo a dare indicazioni a quanti dovevano andare al nord per curarsi e a quanti incontravano l’Associazione per le medesime circostanze. La mia amicizia è nata e si è approfondita quando ci furono le condizioni per mettere su una prima casa di accoglienza a Palermo”. E in che modo: “Si discuteva sulle varie opzioni, ma erano tutte molto onerose. L’unica ipotesi praticabile era chiedere e ottenere un bene confiscato alla mafia. Nel frattempo mi ero imbattuta in una storia tanto drammatica quanto dolorosa con una famiglia che, come quella di Rino Galeazzi, aveva perso una figlia in giovane età. Costoro si coinvolsero nella ricerca e grazie a loro e a tanti altri amici individuammo e ottenemmo la casa che si trova in Via del Fante”.
Torniamo a Gaetano Burgio. Chi era e che tipo era Salvatore Albanese? “Salvatore era certamente interessato alla buona gestione dell’Associazione di cui era responsabile, ma la sua prima e vera preoccupazione era che ciascuno di noi potesse in essa liberamente esprimersi e raggiungere lo scopo della propria vita. Lo slogan che sempre ripeteva era questo: ‘Cilla non è la casa che accoglie, ma le persone che accolgono le persone. Scopo di Cilla – aggiungeva – è dare e offrire compagnia alle persone, lì dove si trovano. E se si trovano in ospedale, lì bisogna operare’. Spesso facevamo fatica a capire e seguire, ma alla fine lui aveva sempre ragione”.
Angelo Candiano aggiunge: “Non ho mai conosciuto una persona tanto innamorata della vita come Salvatore. Era attento e godeva di tutti i particolari, e io spesso lo ritenevo un pignolo, e invece non lo era affatto, sempre pronto ad invitarti a scoprire il senso e il significato ultimo delle cose e degli avvenimenti. Ci diceva sempre che l’uomo è fatto per la felicità, e io non capivo e spesso non condividevo, non capivo come si può essere felici quando circostanze dolorose e terribili ti schiacciano. Ma la sua non era rassegnazione al destino beffardo, al caso o un atteggiamento cinico. Salvatore aveva un asso nella manica: era innamorato della vita perché aveva un amore più grande, un amore a Gesù, un amore incrollabile, una fede in Lui, che lo portava sempre a giudicare ogni particolare, non come isolato e privo di senso, ma attraverso il suo significato, giudicato dall’esperienza, collegato con il tutto”.
Mercedes Lo Verde ricorda così l’importanza di quella amicizia: “L’amicizia con Salvatore si è profondamente intrecciata con la mia esperienza cristiana in Comunione e Liberazione. Ho imparato da lui come fare Cilla e vivere l’esperienza di CL fosse una sola cosa. Mentre affrontavamo tanti problemi concreti, alcuni anche molto complessi, mi ricordava sempre l’origine e lo scopo di quello che facevamo. Riusciva in tal modo a trasmettermi quell’unità della persona che in lui era palese ed esplicita. Tutto questo avveniva nei due o tre giorni che trascorrevamo insieme quando veniva in Sicilia”. E in che modo: “Quando veniva a Palermo per seguire direttamente le vicende dell’Associazione per me era una sorta di mobilitazione generale. Lo accompagnavo nei suoi innumerevoli incontri e poi non mancava mai la tappa al suo paese, Polizzi. Non aveva molti parenti, ma tanti amici e compagni di scuola che amava rincontrare sempre, prima di una tappa al cimitero sulla tomba di famiglia. Poi tutto si concludeva con l’acquisto di alcuni prodotti alimentari che portava a casa e che gli ricordavano tanto le sue origini panormite”.
Anche Gaetano Burgio ricorda con piacere i giorni trascorsi insieme nelle sue visite a Palermo: “Stando insieme e affrontando tanti problemi, si comprendeva l’attenzione e la cura che aveva per tutti noi, mettendo sempre in secondo piano i problemi gestionali, che - se poteva - delegava ad altri più competenti di lui. E questo si capiva nel corso delle sue visite a Palermo. Era palese l’interesse che aveva per tutti noi, per le nostre persone, per le nostre vite e per i nostri problemi. I problemi della gestione delle case venivano sempre dopo. E poi per come parlava e seguiva gli amici che aveva lasciato a Padova. Quando veniva a trovarci oltre alla immancabile visita a Polizzi, c’era sempre il tempo per un giro tra i mercati cittadini per portare un ricordo, quasi sempre alimentare, a quelli che lo aspettavano al suo ritorno. Capivo che non cercava souvenir, ma segni dell’amicizia e della cura che aveva per ciascuno”.
Chiediamo adesso un giudizio sintetico e complessivo sulla sua persona.
Angelo Candiamo: “Salvatore innanzitutto mi ha comunicato un’affezione a Gesù che non aveva bisogno di essere dichiarata a gran voce, perché si dipanava in tutti i momenti e le circostanze che gli erano date da vivere. In questo è stato per me, e per tutti quelli che nel tempo hanno avuto la grazia di conoscerlo e di condividere con lui tanti bellissimi momenti, un maestro, un padre, sempre pronto a indicarci lo scopo del vivere: accostarci passo dopo passo alle soglie del Mistero, perché il Mistero divenisse sempre più familiare per ognuno di noi”.
Mercedes Lo Verde: “Posso dirlo con tutta evidenza: è stato nella mia vita la manifestazione concreta con cui Dio mi ha fatto rinnamorare di Lui e della Chiesa, in un momento in cui prevaleva la confusione e l’incertezza. Lui era una certezza perché le sue certezze poggiavano su un Altro. Lui non me l’ha mai spiegato, ma la sua vita era una testimonianza vivente di tutto ciò”.
Gaetano Burgio: “Definirei Salvatore come un uomo di fede, che viveva e invitava a vivere la fede lì dove ognuno si trovava. Ma il luogo era sempre la contingenza, che quindi poteva cambiare, mentre l’adesione alla Chiesa era il legame che non veniva mai meno. Ci ha poi indicato un modo di condividere tutto, come facevano i primi cristiani, la tenerezza e l’accoglienza verso chi ha bisogno di aiuto, come giudicare tutto nella vita, a partire da questa posizione umana”.
Gaetano Burgio ci ha poi comunicato che è nelle intenzioni degli amici di Palermo intitolare a Salvatore Albanese la seconda casa aperta in città, quella che si trova in Via Tricomi.
Concludiamo con una frase che don Giussani pronunziò in occasione della Messa per il funerale di Rino Galeazzi, il papà di Cilla. Sembra essere stata pensata anche per Salvatore. "L'Associazione Cilla è l'eredità che ci lascia da continuare, perché è in essa l'esempio che abbiamo avuto da lui. Il cuore umano suo possa animare e far muovere ora voi. [...] Questo soprattutto ci lascia in eredità: che abbiamo a vivere quell'esperienza di fede così come l'ha vissuta lui." (cit. dall'omelia di Don Luigi Giussani alla Messa per il funerale di Rino Galeazzi, papà di Cilla - 26/09/1988)